Conosciamo molti modi per produrre suoni con i bicchieri: dal gesto conviviale del brindisi, allo strofinìo sul bordo del calice, fino a usarli per costruire veri e propri strumenti musicali.
Ma forse non tutti sanno quali principi di fisica acustica si celano dietro alla capacità di fare musica con un bicchiere!
Il bicchiere come strumento musicale
Innanzitutto, pare che i bicchieri siano usati per produrre musica dal XIV secolo, come risulta da documenti di quell’epoca di origine persiana.
Ma il primo vero strumento musicale del genere fu l’arpa di vetro (glass harp, a sinistra in figura), che risale alla metà del diciottesimo secolo.
Più o meno allo stesso periodo risale poi la variante meccanica inventata da Benjamin Franklin (che oltre a padre fondatore degli USA fu anche un valente scienziato), nota come glass harmonica (a destra in figura).
Entrambi questi strumenti musicali sono basati sul principio secondo il quale i toni musicali sono generati per mezzo di... attrito.
Ma vediamo meglio cosa ciò significa.
Perché i bicchieri suonano?
Se passiamo il nostro dito inumidito sul bordo di un bicchiere, esso incontrerà una resistenza allo scorrimento che possiamo paragonare all’attrito che incontreremmo passando il dito sulla superficie di una lastra di vetro.
L’umidità presente nel dito tuttavia consente a quest’ultimo di ridurre la resistenza incontrata e quindi di scivolare. Quando la pressione esercitata dal dito, la velocità del suo moto e la quantità di umidità trovano il giusto equilibrio, il movimento sul bordo del bicchiere provoca delle vibrazioni nelle pareti di quest’ultimo. Le pareti del calice irradiano poi tali vibrazioni nell’area circostante creando un’onda sonora.
Possiamo leggere il tutto come un trasferimento della quantità di moto a livello della struttura della materia: dal dito, al vetro e poi all’aria. All’atto pratico, se sentiremo un suono è perché stiamo muovendo il nostro dito a quella frequenza (o... velocità) il cui valore è pari alla frequenza di risonanza del bicchiere.
Tutta colpa della frequenza di risonanza
Possiamo considerare allora la frequenza di risonanza come quel valore di frequenza per il quale le pareti del calice sono soggette a vibrare più facilmente.
Essa si modifica al variare della forma e dello spessore del calice, ma anche della quantità di liquido all’interno e, come intuitivamente si può immaginare, all’aumentare della massa liquida nel bicchiere corrisponde una riduzione della vibrazione delle sue pareti e con essa anche dell’energia del sistema. Questo comporterà una riduzione della frequenza di risonanza del sistema e quindi del tono musicale avvertito dalle nostre orecchie. Lo stesso vale al crescere dello spessore delle pareti del bicchiere.
Se applichiamo al bicchiere una grande quantità di energia con una frequenza pari a quella di risonanza, potremmo addirittura riuscire nell’impresa di frantumarlo.
Questo non è ovviamente possibile strofinando il dito sul suo bordo, ma è realizzabile sollecitando il bicchiere con un ben assestato urto (anche se in quel caso entrano in gioco pure altri aspetti della meccanica non strettamente attinenti all’acustica) oppure con l’emissione di un tono di grande intensità e con frequenza pari a quella di risonanza.
In corrispondenza della sollecitazione sonora, ad un certo punto tutte le molecole del vetro arriveranno a vibrare in sincrono con il suono, annullando le forze di coesione interna e gli eventuali smorzamenti: il bicchiere allora si frantumerà in quanto incapace di sostenere le deformazioni apportate dalle vibrazioni, come è possibile vedere dai video linkati alle foto sopra.
Ad ogni calice la sua frequenza
Il suono emesso da ogni bicchiere ha sempre la propria frequenza caratteristica; quello che possiamo provare a cambiare è l’altezza del suono (cioè il suo livello in dB) e, in particolare, la sua durata.
Possiamo allo scopo divertirci a variare le condizioni al contorno e di sollecitazione: appoggiare il bicchiere su una superficie più o meno rigida, vincolarne la base al tavolo più o meno saldamente con l’altra mano, battere il calice con l’unghia o con un oggetto via via più rigido.
Di certo se strofiniamo il bordo con il dito, il bicchiere produrrà suono per un piccolo intervallo di tempo anche dopo l’interruzione dell’azione. Cosa che non succede se invece battiamo il calice, situazione alla quale corrisponde il suono e il suo immediato decadimento.
Per concludere, un dato numerico: qualora ci venisse voglia di sperimentare la frantumazione di un bicchiere con la sola forza del suono, mediamente avremmo bisogno di un livello sonoro di almeno 130-140 dB.
Anche se qualcuno ci è riuscito, provarci con la sola voce senza amplificazione è alquanto arduo, ma soprattutto... rischioso, perché la distanza fra bocca e bicchiere dovrebbe essere troppo ravvicinata. Meglio allora avvicinarsi così tanto a un calice per apprezzarne il contenuto!