Dopo aver visto, nel precedente post, quali sono i modi che abbiamo per ascoltare, qui mi concentrerò sull’ascolto causale, che sicuramente costituisce la modalità di ascolto più frequente.
L’ascolto causale va per la maggiore
Nella maggioranza dei casi, quando ascoltiamo nel senso più ampio del termine, senza troppo preoccuparci di dare un senso a un suono o doverlo descrivere analiticamente, quello che facciamo è ascoltare in modalità causale, alla ricerca cosciente o anche no, dell’origine del suono stesso. In questo modo il nostro cervello integra con l’informazione uditiva quelle fornite dagli altri nostri sensi attivi e ci consente un’esperienza completa della nostra vita in uno specifico istante.
Quando la sua origine è visibile o certa, il suono fornisce informazioni supplementari sulla propria sorgente: pensiamo per esempio a quando bussiamo con la mano su una parete per capire, dal suono che ne viene, se essa è in mattoni forati oppure, se è in cartongesso, per provare a intuire la presenza di una doppia lastra o dell’isolante al suo interno. In sintesi, vediamo una parete e proviamo a capire come è fatta (è il ‘pallino’ di ogni tecnico acustico che si rispetti!!).
Quando la sua origine invece non è visibile, il suono è la principale fonte di informazioni riguardo alla propria causa o comunque aiuta a formulare ipotesi utili a determinarne la natura e la posizione rispetto a noi.
A volte il suono però ci gioca qualche scherzo: se siamo dentro un edificio e la sorgente sonora disturbante è al suo interno, non sempre siamo in grado di comprendere con esattezza dove questa si trovi rispetto a noi: ciò accade perché le pareti intorno a noi possono irradiare in modo diffuso il suono e disorientare la nostra ‘bussola interna’.
Siamo davvero certi di quello che stiamo ascoltando?
Nella maggior parte dei casi, infatti, quello che le nostre orecchie riconoscono è solo la generica natura (o categoria) della sorgente sonora; potremo dire che il suono che udiamo ha ‘qualcosa di meccanico’ o ‘qualcosa di animale’ o ancora ‘qualcosa di umano’, grazie al fatto che magari ha un certo ritmo, una sensibile ripetitività, un particolare timbro.
Più raramente riconosciamo la singola specifica sorgente solo sulla base del suono che ne riceviamo, in un certo contesto. Forse ciò accade solo per la voce umana, perché le nostre orecchie sono già ‘settate’ da milioni di anni per consentirci di riconoscere un nostro simile all’interno di un gruppo di suoni, quali essi siano.
Le cose già cambiano radicalmente se immaginiamo, dall’interno della nostra casa, di dover riconoscere la ‘voce’ del nostro cane mentre, con i suoi simili giù nel cortile, sta infastidendo il lavoro del postino o il rientro di un vicino: se hanno tutti la stessa razza e stanno tutti accerchiando il malcapitato, la nostra impresa sarà impossibile.
In assenza di altri elementi più specifici, il nostro orecchio riesce quindi ad acquisire solo degli indicatori, in particolar modo di tipo temporale, ai quali possiamo provare di attingere per affinare il nostro processo di figurazione della sorgente.
E se siamo bravi a usare già solo questi indicatori per descrivere un suono che disgraziatamente ci disturba, potremo essere di grande aiuto al tecnico acustico al quale ci rivolgeremo per poterne venire a capo!
Un ascolto causale per ogni situazione
L’ascolto causale si può suddividere in tre livelli di specializzazione:
- quando riusciamo a riconoscere la causa precisa di un suono e, tramite essa, deduciamo la sorgente. Questo avviene di solito grazie al contesto, e così, dopo aver riconosciuto il rumore di un compressore, deduciamo che sarà quello dell’officina di fronte al nostro terrazzo;
- quando non riusciamo a riconoscere la sorgente precisa del suono ma riconosciamo la categoria dalla quale esso proviene, grazie soprattutto agli indicatori temporali, e così identifichiamo un rumore umano (o, nel gergo di noi tecnici acustici, antropico) o meccanico;
- quando riconosciamo l’evoluzione del fenomeno sonoro ma non abbiamo informazioni precise sulla sua origine, e così parliamo di ticchettìo, rombo, tonfo, rotolamento, ecc. nel tentativo di richiamare alla mente una sorgente analoga.
Ricordati che non c’è (quasi) mai un solo suono da ascoltare
Non dobbiamo mai scordare che spesso un rumore nel suo insieme non ha una sola origine, bensì è il risultato della combinazione di più sorgenti. Un esempio? Ce l’ho proprio qui ‘davanti’ alle mie orecchie, mentre penso ad una chiusura (volendo brillante) per questo mio articolo: è il rumore della scrittura di questo post.
Esso è la somma dei rumori legati all’impatto delle mie dita sui tasti ma anche del contatto fra i tasti e le molle sul fine corsa della mia tastiera. Ma poi ci sono anche il mio respiro, il cigolio della sedia e, ogni tanto, quando vado a capo, il ticchettio di riflesso delle penne nel barattolo. E… soprattutto (sob!) la ventola del mio computer!
;) Alla prossima!